Flash-Info au 3 août 2008
Une excellente interview
de Mgr Ranjith, secrétaire de
A lire absolument !
Su segnalazione di Francesco, dalla Spagna, leggiamo questa
splendida intervista a Mons. Ranjith sulla Liturgia.
Complimenti a Politi per la scelta dell'argomento.
R.
LITURGIA
'Perché Ratzinger recupera il sacro'
MARCO POLITI
Il segnale è stato inequivocabile.
Prima il Corpus Domini a Roma, poi lo si è visto in mondovisione a Sidney.
Benedetto XVI esige che davanti a lui la comunione venga ricevuta in ginocchio.
è uno dei tanti recuperi di questo pontificato: il latino, la messa tridentina,
la celebrazione con le spalle rivolte ai fedeli.
Papa Ratzinger ha un disegno e lo srilankese monsignor
Malcolm Ranjith, che il pontefice ha voluto con sé in Vaticano come segretario
della Congregazione per il Culto, lo delinea con efficacia.
L'attenzione
alla liturgia, spiega, ha l' obiettivo di un' «apertura al trascendente».
Su richiesta del pontefice, preannuncia Ranjith,
La comunione in ginocchio va in questa direzione?
«Nella liturgia si sente la necessità di ritrovare il senso del sacro,
soprattutto nella celebrazione eucaristica. Perché noi crediamo che quanto
succede sull' altare vada molto oltre quanto noi possiamo umanamente
immaginare. E quindi la fede della Chiesa nella presenza reale di Cristo nelle
specie eucaristiche va espressa attraverso gesti adeguati e comportamenti
diversi da quelli della quotidianità».
Marcando una discontinuità?
«Non siamo dinanzi ad un capo politico o un personaggio della società moderna,
ma davanti a Dio. Quando sull' altare scende la presenza di Dio eterno,
dobbiamo metterci nella posizione più adatta per adorarlo. Nella mia cultura,
nello Sri Lanka, dovremmo prostrarci con la testa sul pavimento come fanno i
buddisti e i musulmani in preghiera».
L' ostia nella mano sminuisce il senso di trascendenza dell' eucaristia?
«In un certo senso sì. Espone il comunicante a sentirla quasi come un pane
normale. Il Santo Padre parla spesso della necessità di salvaguardare il senso
dell' al-di-là nella liturgia in ogni sua espressione. Il gesto di prendere l'
ostia sacra e metterla noi stessi in bocca e non riceverla, riduce il profondo
significato della comunione».
Si vuole contrastare una banalizzazione della messa?
«In alcuni luoghi si è perso quel senso di eterno, sacro o di celeste. C' è
stata la tendenza a mettere l' uomo al centro della celebrazione e non il
Signore.
Ma il Concilio Vaticano II parla chiaramente della liturgia come actio Dei,
actio Christi. Invece in certi circoli liturgici, vuoi per ideologia vuoi per
un certo intellettualismo, si è diffusa l' idea di una liturgia adattabile a
varie situazioni, in cui si debba far spazio alla creatività perché sia accessibile
e accettabile a tutti. Poi magari c' è chi ha introdotto innovazioni senza
nemmeno rispettare il sensus fidei e i sentimenti spirituali dei fedeli».
A volte anche vescovi impugnano il microfono e vanno verso l' uditorio con
domande e risposte.
«Il pericolo moderno è che il sacerdote pensi di essere lui al centro
dell'azione. Così il rito può assumere l'aspetto di un teatro o della
performance di un presentatore televisivo.
Il celebrante vede la gente che guarda a lui come punto di riferimento e c' è
il rischio che, per avere più successo possibile con il pubblico, inventi gesti
ed espressioni facendo da protagonista».
Quale sarebbe l' atteggiamento giusto?
«Quando il sacerdote sa di non essere lui al centro, ma Cristo. Rispettare in
umile servizio al Signore e alla Chiesa la liturgia e le sue regole, come
qualcosa di ricevuto e non di inventato, significa lasciare più spazio al
Signore perché attraverso lo strumento del sacerdote possa stimolare la
coscienza dei fedeli».
Sono deviazione anche le omelie pronunciate dai laici?
«Sì. Perché l' omelia, come dice il Santo Padre, è il modo con cui
Assolutamente no?
«Non perché loro non siano capaci di fare una riflessione, ma perché nella
liturgia i ruoli vanno rispettati. Esiste, come diceva il Concilio, una
differenza "in essenza e non solo in grado" tra il sacerdozio comune
di tutti i battezzati e quello dei sacerdoti».
Già il cardinale Ratzinger lamentava nei riti la perdita del senso del mistero.
«Spesso la riforma conciliare è stata interpretata o considerata in modo non
del tutto conforme alla mente del Vaticano II. Il Santo Padre definisce questa
tendenza l' antispirito del Concilio».
A un anno dalla piena reintroduzione della messa tridentina qual è il bilancio?
«La messa tridentina ha al suo interno valori molto profondi che rispecchiano
tutta la tradizione della Chiesa. C' è più rispetto verso il sacro attraverso i
gesti, le genuflessioni, i silenzi. C' è più spazio riservato alla riflessione
sull'azione del Signore e anche alla personale devozionalità del celebrante,
che offre il sacrificio non solo per i fedeli ma per i propri peccati e la
propria salvezza. Alcuni elementi importanti del vecchio rito potranno aiutare
anche la riflessione sul modo di celebrare il Novus Ordo. Siamo all' interno di
un cammino».
Un domani vede un rito che prenda il meglio del vecchio e del nuovo?
«Può darsi~ io forse non lo vedrò. Penso che nei prossimi decenni si andrà verso
una valutazione complessiva sia del rito antico che del nuovo, salvaguardando
quanto di eterno e soprannaturale avviene sull' altare e riducendo ogni
protagonismo per lasciare spazio al contatto effettivo tra il fedele e il
Signore attraverso la figura non predominante del sacerdote».
Con posizioni alternate del celebrante?
Quando il sacerdote sarebbe rivolto verso l' abside?
«Si potrebbe pensare all'offertorio, quando le offerte vengono portate al
Signore, e di là sino alla fine della preghiera eucaristica, che rappresenta il
momento culminante della "trans-substantiatio" e la
"communio"».
Disorienta i fedeli il prete che volge le spalle.
«E' sbagliato dire così. Al contrario, insieme al popolo si rivolge al Signore.
Il Santo Padre nel suo libro Lo spirito del Concilio ha spiegato che quando ci
si siede attorno, guardando ognuno la faccia dell' altro, si forma un circolo
chiuso. Ma quando il sacerdote e i fedeli insieme guardano l' Oriente, verso il
Signore che viene, è un modo di aprirsi all' eterno».
In questa visione si inserisce anche il recupero del latino?
«Non mi piace la parola recuperare. Realizziamo il Concilio Vaticano II, che
afferma esplicitamente che l' uso della lingua latina, salvo un diritto
particolare, sia conservato nei riti latini. Dunque, anche se è stato dato
spazio all' introduzione delle lingue vernacolari, il latino non va abbandonato
completamente.
L'uso di una lingua sacra è tradizione in tutto il mondo. Nell' Induismo la
lingua di preghiera è il sanscrito, che non è più in uso. Nel Buddismo si usa
il Pali, lingua che oggi solo i monaci buddisti studiano. Nell'Islam si impiega
l' arabo del Corano. L' uso di una lingua sacra ci aiuta a vivere la sensazione
dell' al-di-là».
Il latino come lingua sacra nella Chiesa?
«Certo. Il Santo Padre stesso ne parla nell' esortazione apostolica Sacramentum
Caritatis al paragrafo 62: "Per meglio esprimere l' unità e l'
universalità della Chiesa vorrei raccomandare quanto suggerito dal Sinodo dei
vescovi in sintonia con le direttive del Concilio Vaticano II. Eccettuate le
letture, l' omelia e la preghiera dei fedeli, è bene che tali celebrazioni
siano in lingua latina". Beninteso, durante incontri internazionali».
Ridando forza alla liturgia, dove vuole arrivare Benedetto XVI?
«Il Papa vuole offrire la possibilità d' accesso alla meraviglia della vita in
Cristo, una vita che pur vivendola qui sulla terra già ci fa sentire la libertà
e l' eternità dei figli di Dio. E una tale esperienza si vive fortemente
attraverso un autentico rinnovamento della fede quale presuppone il pregustare
delle realtà celesti nella liturgia che si crede, si celebra e si vive.
© Copyright Repubblica, 31 luglio 2008 consultabile online anche qui.
Pubblicato da Raffaella a 8:43:00 AM