Intervista concessa
da S. Em. Rev.ma il Card. Darío Castrillon Hoyos
Prefetto della Congregazione per il Clero e
Presidente della Pontificia Commissione “Ecclesia Dei”
al quotidiano Il
Giornale
31
maggio 2004
Il ministro
del Papa: la liturgia non è proprietà
dei sacerdoti
Un invito
a riscoprire il senso del
sacro nelle celebrazioni liturgiche, un appello ai vescovi perché non respingano le richieste dei gruppi tradizionalisti che chiedono la celebrazione della Messa secondo il rito tridentino, una mano tesa ai lefebvriani
perché regolarizzino quanto prima la loro posizione rientrando nella piena comunione con Roma. Dopo la pubblicazione del recente documento sugli abusi liturgici
Redemptoris Sacramentum, il cardinale Darío
Castrillón Hoyos, Prefetto della Congregazione
del Clero e Presidente
della Pontificia Commissione “Ecclesia Dei”, rompe il
silenzio e racconta come sono oggi considerati i tradizionalisti all’interno della Chiesa cattolica.
Eminenza, il documento
sugli abusi liturgici è stato accolto con molti distinguo e da qualcuno è stato considerato come un regresso a prima del Concilio.
Lei cosa ne pensa?
È un documento
disciplinare molto importante per tutta
la Chiesa. Il Papa lo ha voluto
proprio per tutelare il bene
più prezioso che Gesù ci ha dato: il suo corpo e il suo sangue, realmente presenti nell’eucaristia. Questa istruzione è un richiamo al senso del sacro e al rispetto dell’eucaristia, che alcuni sembrerebbero
aver perso. Il documento ha
una particolare importanza
per i sacerdoti; infatti,
per volontà di Cristo stesso, sono loro i custodi del santissimo sacramento. La storia della
Chiesa ci testimonia che tantissimi sacerdoti hanno rischiato e offerto la vita per celebrare e difendere l’eucaristia. Così è avvenuto il secolo scorso, quando regimi totalitari volevano eliminare la Chiesa. Penso alle schiere
di preti rinchiusi nei campi di concentramento
e mi viene in mente la splendida
figura del cardinale Van Thuan, recentemente
scomparso. Nelle sue memorie, ci racconta che le più belle eucarestie erano quelle celebrate con poche gocce di vino e qualche mollica di pane, nel buio delle
sua cella di isolamento nella
prigione, avendo come altare il palmo della sua mano. Da lì gli
veniva tutta la forza per sopportare le inaudite sofferenze e perdonare quelli che gliele causavano.
Purtroppo, come
Il Giornale ha documentato con una serie di immagini, capita talvolta che la Messa venga ridotta
ad uno show…
L’eucarestia non è e non può
essere considerata una “proprietà privata” soggetta al libero arbitrio dei singoli! È il grande dono di Gesù alla Chiesa, e nel suo culto viene
regolata dai successori degli apostoli con Pietro. Ma
come scoprire questo dono senza adorarlo?
Come contemplarlo senza amarlo? Come adorarlo ed amarlo senza
un profondo senso di rispetto individuale
e liturgico?
Con l’enciclica
dell’anno scorso il Papa ha
voluto rilanciare il senso del sacro della liturgia.
Sono argomenti da tradizionalisti?
Sono argomenti dell’unica e
ininterrotta tradizione
della Chiesa. Oggi più che mai
si sente il bisogno di non perdere
la memoria storica di ciò che siamo
come singoli e come popoli. La Chiesa non perde
mai la forza che, attraverso la storia, l’ha portata a trasformare le culture.
Per questo il Papa non ha timore
di ritornare a parlare dello “stupore” eucaristico, che deriva dalla contemplazione della
presenza reale di Gesù nel pane e nel vino consacrati.
Questo documento è perciò un dono della Provvidenza per noi sacerdoti e fedeli.
Lei è Presidente
della Commissione voluta da
Giovanni Paolo II per aiutare i gruppi
che seguono il messale di San Pio V. Che cosa si fa in loro favore?
Quando si sente parlare dei
cosiddetti “tradizionalisti”,
qualcuno pensa che essi siano un gruppo
con un ostinato e nostalgico attaccamento
al passato. Questo non è
vero. Infatti, qui ci troviamo
di fronte ad una visione cristiana dinamica della vita di fede e di devozione, condivisa da tante famiglie cattoliche e dai loro figli,
legati a quelle antiche
forme liturgiche e devozionali
che hanno accompagnato la Chiesa lungo secoli di storia e che hanno formato
schiere di santi. Giovanni
Paolo II nel 1988 ha voluto
tutelare questa particolare sensibilità all’interno della Chiesa, chiedendo
che venga concessa “un’ampia e generosa applicazione” dell’uso dell’antico messale. A questo
sono seguiti altri segni di
benevolenza del Papa, come l’autorizzazione per la celebrazione
privata della Messa di San Pio
V nella cappella ungherese della Basilica di San Pietro. Era già chiaro che ogni
sacerdote la può celebrare con il
consenso
Perché nonostante l’indulto
in molte diocesi viene negata la possibilità della
celebrazione secondo il vecchio rito?
A mio avviso, si tratta di
un problema di comprensione. Non sempre
il fenomeno “tradizionalista”
viene visto nella sua giusta luce, come una ricchezza che può
ben inserirsi con le altre
positive realtà che compongono il tessuto ecclesiale. Certo, non sempre si può subito concedere un luogo speciale per tale liturgia o la possibilità di una Messa nel rito di San Pio V, vuoi per il numero troppo basso dei fedeli, vuoi per la mancanza del sacerdote. In tutte le cose ci vuole pazienza. Così occorre avere
pazienza anche con quei vescovi che non si aprono con facilità alla realtà di questi loro fedeli legati
alla precedente tradizione,
perché fino adesso non la considerano opportuna per l’unità pastorale delle loro diocesi.
È curioso
osservare che in molte diocesi si offrono le chiese agli ortodossi, ma si chiudono le porte ai fedeli tradizionalisti…
Sì, è vero che si invoca la tolleranza con alcuni, ma si è intransigenti nei confronti di fedeli che appartengono
a tutti gli effetti alla
Chiesa cattolica. Io, sinceramente
sono del parere che con questi occorra molta più comprensione. Infatti, il Papa ha riconosciuto
la validità della loro sensibilità liturgica, che può essere
più o meno condivisa, ma
mai repressa. Spesso loro si lamentano proprio di questa intransigenza. Io continuo
a ripetere che i fedeli legati all’antica
liturgia non sono fedeli di
seconda categoria e non vanno
trattati come se lo fossero. Da parte loro, tuttavia, si richiede ugualmente pazienza nella loro richiesta e di non cedere a forme di critica esasperata, che porta disagio alla comunità diocesana.
Come vive lei il rapporto con questi fedeli legati all’antica
liturgia e per i quali un anno fa
ha celebrato una Messa in rito tridentino?
Nella Chiesa ci sono legittime
diversità che sono da considerare non in contrapposizione
ma complementari. Il Papa ha riconosciuto legittime
le aspirazioni dei fedeli legati all’antica
liturgia. Sono grato per lo sforzo che fanno nel
mantenere una memoria storica di tutto rispetto.
La Messa a Santa Maria Maggiore,
di un anno
fa, ha dato un ulteriore segno di stima per questa
legittima diversità. Il rito di San Pio
V, come ho detto nell’omelia
di allora, gode di un “diritto
di cittadinanza” nella Chiesa cattolica
latina, perché di fatto non è estinto, in quanto sussiste nella generosa concessione fatta da Giovanni Paolo II.
Non crede
che questo possa essere avvertito
come un passo indietro rispetto alla riforma liturgica post-conciliare?
No, non significa assolutamente
una contrapposizione critica
alla Messa di Paolo VI. Questo
è il rito con il quale celebro ogni giorno, che amo e trovo
ricco, armonico con la tradizione intesa nel suo senso
più ampio. Negli aspetti che permettono
un legittimo adattamento, trovo il nuovo rito culturalmente vicino all’uomo di oggi, alla portata anche dei più semplici,che
possono seguire nella loro lingua
la sacra profondità della Messa.
È ovvio che devono essere esclusi
quegli abusi a cui facevo prima riferimento. Ma questo non toglie che ci sia
un consistente numero di fedeli, anche giovani, che amano la Messa
secondo il precedente rito. Questa sensibilità,
riconosciuta legittima dal
Papa, deve essere tutelata nel migliore
dei modi.
Nei mesi
scorsi i lefebvriani hanno presentato a Roma un documento contro l’ecumenismo di Papa Wojtyla. Il dialogo
con la Santa Sede è interrotto?
Non direi che il dialogo è interrotto. Lo stesso monsignor Fellay, nella conferenza stampa, ha detto che egli non vuole
rompere il dialogo con
Roma. Questa speranza la mantengo forte nel cuore, condividendola con il
Papa, che continua ad attendere
con le braccia aperte la Fraternità
San Pio X. Mi dispiace però
constatare le esitazioni
dei superiori della stessa Fraternità a procedere alla loro regolarizzazione. Il dialogo interno sarà sempre possibile nelle materie da chiarire. Posso tuttavia riaffermare che il Papa e i suoi stretti collaboratori fanno tutto il possibile per far comprendere alle autorità della Fraternità che questo è il tempo favorevole per l’auspicato ritorno.